Mentre tra gli investitori cresce la preoccupazione per l’aumento dei debiti pubblici nei Paesi del G7, l’Italia – da sempre considerata l’anello debole a causa della sua gestione fiscale eccessiva – sta vivendo una sorta di rinascimento nel mercato obbligazionario.
Negli ultimi due anni, il differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi a dieci anni – indicatore chiave del rischio percepito e della stabilità politica – si è dimezzato, scendendo sotto i 100 punti base. Un risultato che riporta questo spread ai livelli più bassi mai registrati dalla fine della pandemia e in prossimità dei minimi pre-crisi del debito dell’Eurozona del 2010.
Se per alcuni operatori il margine per ulteriori guadagni potrebbe sembrare limitato, va ricordato che prima del crollo finanziario globale del 2008 l’Italia emetteva titoli con un premio di appena 20 punti base rispetto alla Germania. Eppure, dopo 15 anni di crisi esistenziali della zona euro, instabilità politica interna, pandemia, guerra in Ucraina e interventi della BCE, il ritorno a livelli così contenuti appare sorprendente.
Il recente allentamento monetario da parte della Banca Centrale Europea ha contribuito a riportare i rendimenti nominali dei titoli decennali italiani intorno al 3,5%, in linea con la media degli ultimi 26 anni di vita dell’euro.
Un confronto che cambia volto
I mercati del debito del G7 si giocano spesso sul confronto tra i diversi Paesi. In questo nuovo scenario, l’Italia non è più l’eccezione. Il suo rapporto debito/PIL, sebbene ancora elevato (137%), non è più così distante da quello di altre economie avanzate, che stanno rapidamente colmando il divario. Anzi, l’Italia è uno dei pochi Paesi del G7 per cui non si prevede un ulteriore aumento del debito nel corso del decennio.
Il primato del Paese più indebitato del G7 spetta saldamente al Giappone. Tuttavia, anche gli Stati Uniti hanno superato la soglia del 100% del PIL, e le recenti misure di spesa approvate dal Congresso sotto l’amministrazione Trump potrebbero aggravare ulteriormente la situazione.
In Europa, persino la Germania – tradizionalmente rigida in materia fiscale – ha sospeso il proprio “freno al debito” per sostenere l’economia, con previsioni che indicano un possibile rapporto debito/PIL superiore al 100% entro i prossimi dieci anni.
Un altro dato significativo per gli investitori riguarda la Francia. I problemi di disavanzo e debito di Parigi hanno portato il rischio percepito sui titoli francesi a livelli quasi identici a quelli italiani. Lo spread sui titoli decennali tra Italia e Francia si è ristretto a soli 20 punti base, il minimo dal 2008. Secondo gli analisti di Unicredit, nei primi mesi del 2025 il differenziale a tre anni è addirittura diventato negativo per la prima volta in oltre vent’anni.
Il sorpasso francese e la stabilità italiana
Un tempo detentrice del debito pubblico più elevato d’Europa, l’Italia ha ceduto questo primato alla Francia già quattro anni fa. Secondo i dati di Eurostat, il debito lordo francese ha raggiunto nel 2024 i 3.300 miliardi di euro, superando di circa 300 miliardi quello italiano.
Un altro elemento che gioca a favore dell’Italia è l’attuale stabilità politica. Considerando la turbolenta storia politica del Paese, il governo guidato da Giorgia Meloni – in carica dal 2022 – rappresenta un periodo di relativa calma. Anche le agenzie di rating iniziano a riconoscere i progressi compiuti.
Ad aprile, S&P Global ha alzato a sorpresa il rating italiano da “BBB” a “BBB+”, mentre lo scorso mese Moody’s ha migliorato l’outlook da “stabile” a “positivo”, mantenendo il rating a “Baa3”. L’agenzia ha elogiato i risultati fiscali migliori del previsto e l’ambiente politico più stabile, dando maggiore credibilità al piano del governo Meloni di contenere il deficit al 3,3% del PIL nel 2025 e al 2,8% nel 2026.
Con queste prospettive, l’Italia sembra finalmente pronta a scrollarsi di dosso l’etichetta di anello debole dell’Eurozona.